Protagonista del ben noto romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa è il principe Fabrizio Corbera di Salina, che ricalca da vicino il principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa (1813-1885) bisnonno di Giuseppe, noto anche per la sua attività di astronomo. Nel romanzo Tomasi ricorda un'altra celebre esponente della sua famiglia in questo passaggio:
Abitudini secolari esigevano che il giorno seguente all'arrivo la famiglia Salina andasse al Monastero di Santo Spirito a pregare sulla tomba della beata Corbèra, antenata del Principe, che aveva fondato il convento, lo aveva dotato, santamente vi era vissuta e santamente vi era morta. [...] si stupiva sempre vedendo incorniciate sulla parete di una cella le due lettere famose e indecifrabili, quella che la Beata Corbèra aveva scritto al Diavolo per esortarlo al bene e la risposta di lui che esprimeva, pare, il rammarico di non poter obbedirle; [...]
Quella che Tomasi nel romanzo chiama Beata Corbera è facilmente identificabile in Isabella Tomasi di Lampedusa (1645-1699) figlia del principe Giulio Tomasi uno dei più ricchi latifondisti siciliani dell'epoca. Per assecondare la vocazione delle figlie, regalò uno dei suoi palazzi per farne la sede di un convento di clausura a Palma di Montichiaro, inaugurato nel 1659. Isabella si fece suora con il nome di Suor Maria Crocifissa e visse nel monastero, dove ebbe molte esperienze mistiche consistenti anche in incontri-scontri con uno o più diavoli; la più nota è quella durante la quale avrebbe scritto questa lettera in parte sotto dettatura di un gruppo di diavoli che la avevano assalita.
La lettera è tuttora custodita nel monastero di clausura ed è visibile solo nelle occasionali aperture del convento per visite guidate. Una copia non molto accurata è invece presente nella cattedrale di Agrigento.
Secondo i verbali del monastero Isabella sarebbe stata trovata dalle altre suore nella sua cella con la faccia imbrattata di nerissimo inchiostro e in mano un foglio pieno di caratteri illeggibili.
Nella lettera c'è una sola parola in chiaro "Ohime" al centro della pagina; altri caratteri potrebbero essere in chiaro come il digramma "ge" tre righe sopra l'"Ohime" ma è solo una congettura. Isabella avrebbe affermato che la prima parte prima dell'ohimè era opera sua, il resto le sarebbe stato dettato dai diavoli; e avrebbe affermato che la lettera "sarà legibile il giorno del giudizio".
La lettera ha ovviamente suscitato curiosità e polemiche di ogni genere; ne fu realizzata anche una copia a mano, non proprio identica, che è esposta nella cattedrale di Agrigento. Nell'Ottocento fu bersaglio di polemiche anticlericali che vedevano nella lettera un tipico espediente inventato dal clero per ingannare il popolo credulone.
La prima domanda da porsi è: può trattarsi di un vero testo cifrato? Esaminando il testo si contano circa 150 caratteri (circa perché non è possibile in diversi casi distinguere se si tratti di un segno singolo o di due). A prima vista i caratteri sembrano quasi tutti diversi, sicuramente in chiaro l'Ohime, forse anche un ge solo alcuni sembrano ripetersi, per esempio una specie di y che compare 5 volte nella prima metà, ma con varianti barrate, analogamente sembra di riconoscere le lettere k, ш e ψ anche queste con varianti. Troppi caratteri diversi per poter pensare a una semplice sostituzione monoalfabetica; ma se si trattasse di un cifrario più complesso con omofoni o polifoni, nulle, simboli digrafici o ideografici, 150 caratteri sono troppo pochi e ci si possono costruire molte soluzioni possibili, in poche parole il problema è indeterminato.
Le ultime due righe in basso a destra hanno tutta l'aria di una firma. «Suor Maria Crocifissa»? Ma non funziona nell'ipotesi della sostituzione monoalfabetica e quindi non risolve nulla, anzi ...
Si possono solo formulare tre ipotesi principali:
Il 5 settembre 2017 la Stampa, il ben noto quotidiano torinese pubblicava un articolo intitolato Così un algoritmo ha decifrato il mistero della “Lettera del diavolo” lasciando intendere che la lettera fosse stata completamente decrittata.
In realtà bastava leggere l'articolo per rendersi conto che non era affatto così. Daniele Abate, direttore del Ludum Science Center presso Catania, affermava di aver usato un algoritmo trovato in rete, non si dice come e dove, per riconoscere i caratteri e decrittare la lettera. Ma non la lettera intera, solo alcune parole qua e là: «Forse ormai certo Stige» ... «Poiché Dio Cristo Zoroastro seguono le vie antiche e sarte cucite dagli uomini, Ohimé» ... «Un Dio che sento liberare i mortali».
Nessun cenno forniva l'articolo su quali parti del cifrato corrispondessero a queste frasi smozzicate. Lo stesso Abate concludeva così: «... Un tentativo, è bene chiarirlo, ma un tentativo i cui esiti ci hanno stupiti». Nient'altro che un tentativo dunque!!
Nonostante questo la notizia rimbalzò su molti siti web e su molti giornali anche prestigiosi! Un buon esempio di come nasce una fake news; prima il vizio delle redazioni dei giornali di scrivere titoli che non corrispondono al contenuto dell'articolo; poi il vizio di prendere per buone affermazioni senza alcun serio controllo ...
La storia dei manoscritti irrisolti, a cominciare dal Voynich è piena di false soluzioni che hanno caratteristiche simili a questa; parziali (solo alcune frasi qua e là), nessuna indicazione chiara del cifrario ...
Non resta che concludere che la lettera del diavolo resta tra gli enigmi irrisolti e molto probabilmente insolubili.