Alla fine del medio evo la crittografia era abbastanza diffusa nelle cancellerie dei vari stati italiani, in particolare a Roma e Venezia. Le cifre più usate erano cifrari misti, monoalfabetici con uso di omofoni, nulle e repertori per le parole più frequenti.
La prima cifra completa cioè dotata di segni arbitrari per ciascuna lettera, omofoni per le vocali, molte nulle e un sia pur piccolo nomenclatore, è la lettera del 1411 che Michele Steno scrive agli ambasciatori Fantino Michiel e Bartolomeo Nani, di cui si conserva l'originale cifrato su pergamena (all'Archivio di Stato di Venezia) e una trascrizione non del tutto fedele nei Secreti del Senato veneziano (sempre all'Archivio di Venezia).
Cifrari simili venivano usati a Roma, Milano e Firenze.
In seguito viene ampliato il nomenclatore e, a parte la diversità dei segni cifranti, tutte le cifre italiane dei tre secoli successivi seguirono questo modello. Ne abbiamo esempi anche alla corte Francese del XVII secolo e perfino da parte dei nobili francesi in esilio nel 1793. Tale sistema fu in uso anche nella telegrafia segreta attorno alla seconda metà dell'Ottocento.
Eccezioni a questo canone si debbono al Cardinale Richelieu attorno al 1640 per consiglio di Antonio Rossignol; si tratta di repertori invertiti con gruppi cifranti variabili, con due documenti per cifrare e decifrare con omofoni per le singole lettere. Possiamo trovarne altri esempi nelle corrispondenze tra Luigi XIV e il suo maresciallo alla fine del '600 . La loro corrispondenza, con 11.125 gruppi cifranti diversi, veniva considerata "sicura", ed infatti fu sempre cifrata con lo stesso repertorio, mentre era già stata violata nel 1689 da Wallis.
Dopo Luigi XIV la crittografia francese declinò, tanto che sotto Napoleone si usava un repertorio di soli 200 gruppi quasi privo di omofoni ed applicato solo a parti dei dispacci. Sembra che questa debolezza crittografica sia stata uno dei fattori che portarono alla ritirata di Russia nel 1812.
Altre cifre papali del XVI secolo utilizzano, cosa abbastanza rara nella storia della crittografia, la cifratura con polifoni. La prima di queste cifre appare attorno al 1540; l'ultima nel 1585. Il nomenclatore di tali cifre è costituito da circa 300 voci, tutte cifrate con gruppi di tre cifre.
Un altro esempio di cifra con polifoni si trova nel sistema usato dal langravio d'Assia nei primissimi anni del '600, nella quale spesso un gruppo di due numeri indica o una lettera ed una parola vuota oppure una sillaba.
Tuttavia è probabile che a distinguere le funzioni del gruppo venissero collocati segni ausiliari, che poi il tempo ha cancellato.
Secondo il Meister, uno studioso di crittografia, i polifoni erano usati spesso per ridurre la lunghezza del testo cifrato. Egli riporta anche istruzioni per la composizione di simili cifre che sono all'avanguardia per i suoi tempi.